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May Day

Semplici spunti per ripulire, riciclare e riutilizzare rifiuti trovati in spiaggia.

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Un esempio semplice di come riciclare scatolette di vermi abbandonate in spiaggia dai pescatori.
Yari Cava le usa come porta paraffina o porta schede di memoria durante i suoi viaggi, protette grazie alla tenuta stagna delle stesse.

 

Molte spiagge italiane (e non) subiscono un’invasione di rifiuti durante tutto l’anno e sebbene grazie a Surfrider Foundation negli ultimi anni sia cresciuta notevolmente la sensibilità nei confronti del problema, non è necessario attendere la pulizia annuale per interessarsi al problema. La situazione di alcune spiagge è molto grave soprattutto in determinati periodi e in conseguenza di eventi come le pioggie persistenti, ogni giorno è un buon motivo per contribuire alla pulizia degli spot che frequentiamo e uno di questi potrebbe essere proprio quello di riutilizzare in modo proficuo gli oggetti portati dai fiumi e dal mare e depositati sull’arenile.

Yari Cava è un surfer e artista della costa labronica che già da qualche anno ha trovato il modo di prendersi cura del tratto di costa che frequenta abitualmente, ma non solo di quello, riutilizzando i rifiuti trovati in spiaggia per creare interessanti opere d’arte, che abbiamo avuto già modo di vedere in passato sulle pagine di Surfcorner. In questa rubrica ci da qualche semplice spunto per ridare nuova vita a oggetti abbandonati e in disuso, dannosi per l’ambiente e che possiamo facilmente raccogliere dalla spiaggia quando ci imbattiamo in essi tornando dalla session.

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Collezione privata Yari Cava// Il Sommozzatore, plastica riciclata

 

Dopo le piogge torrenziali dei mesi scorsi tonnellate di plastica è stata letteralmete vomitata sulle nostre spiagge.

Secondo l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer sono 5 le isole di plastica fluttuanti negli oceani due nell’Atlantico, una nell’Oceano Indiano, due nel Pacifico, ma sono soltanto le principali. Ne ha stimato l’estensione totale in milioni di miglia quadrate.

Great Garbage Patch, scoperta nel 1996 dal capitano californiano Charles Moore, pare sia grande quanto l’Europa, Si è stimato che solo il Great Pacific Garbage Patch venga alimentato da una tonnellata di plastica al giorno, L’isola è formata da centinaia di miliardi di microscopici frammenti di plastica, impalpabili nuvole inquinanti che fluttuano nel mare, si polverizzano e si disperdono, fermandosi in sospensione appena sotto il livello della superficie, oppure, in base alla loro densità, in tutta la colonna d’acqua sino al fondale. Il guaio è che questi frammenti assomigliano al plancton, le particelle elementari da cui si rigenera la vita negli oceani e da cui parte la catena alimentare. Non c’è creatura marina per la quale il plancton non sia alla base dell’esistenza: i pesci e gli uccelli che non lo mangiano direttamente vivono comunque delle altre creature che se ne cibano.

Nel Mediterraneo il problema è più grave: in questo mare chiuso la plastica rimane prigioniera. Qui, in media, ci sono 115.000 pezzetti per chilometro quadrato, il che vuol dire che in tutta l’estensione marina ce ne sono 290.000.000.000 nei primi quindici centimetri d’acqua, ovvero una fascia delicata e preziosa per la riproduzione e l’alimentazione dell’ecosistema marino che i biologi chiamano «neuston».

La plastica infatti, è costituita da polimeri sintetici originati dal petrolio e, con il passare del tempo, non si distrugge, ma si scompone in minuscoli frammenti che vengono chiamati micro-plastiche e sono questi frammenti che hanno portato alla formazione dell’isola di plastica presente ora nel Mediterraneo.

 

 

“Basta Poco, se AMATE come me il SURF,  le onde e il suo ecosistema  vuol dire che facciamo parte della stessa Famiglia, non aspettiamo pulizie delle spiagge o indotti commerciali, ogni volta che andiamo a surfare portiamo via un pò di Plastica… grazie.” – Yari Cava

 

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Yari a casa, ha un motivo in più godersi le onde che surfa abitualmente. Foto Gianluca Savi

 

Isole di Plastica

Isole di plastica. Non sono segnate sulle carte nautiche, né si possono avvistare dall’alto o su Google Earth. Eppure sono 5 le isole di plastica fluttuante negli oceani censite dall’oceanografo Curtis Ebbesmeyer: due nell’Atlantico, una nell’Oceano Indiano, due nel Pacifico, ma sono soltanto le principali. Ne ha stimato l’estensione totale in milioni di miglia quadrate. Solo quella del Pacifico settentrionale (Great Garbage Patch), scoperta nel 1996 dal capitano californiano Charles Moore, pare sia grande quanto l’Europa.

 

 

Microscopici frammenti. L’isola è formata da centinaia di miliardi di microscopici frammenti di plastica, impalpabili nuvole inquinanti che fluttuano nel mare, si polverizzano e si disperdono, fermandosi in sospensione appena sotto il livello della superficie, oppure, in base alla loro densità, in tutta la colonna d’acqua sino al fondale. Il guaio è che questi frammenti assomigliano al plancton, le particelle elementari da cui si rigenera la vita negli oceani e da cui parte la catena alimentare. Non c’è creatura marina per la quale il plancton non sia alla base dell’esistenza: i pesci e gli uccelli che non lo mangiano direttamente vivono comunque delle altre creature che se ne cibano.

Una tonnellata al giorno. Si è stimato che solo il Great Pacific Garbage Patch venga alimentato da una tonnellata di plastica al giorno

Buste. Dei cento milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno il 10 per cento va a finire in mare.

Morte annunciata. Ogni anno, nei mari del mondo, tra tartarughe e mammiferi marini muoiono 100 mila esemplari, e circa 1 milione di uccelli marini vengono sterminati da tappi di plastica, ugelli degli spray, persino soldatini e spazzolini da denti. Gli uccelli avvistano i frammenti dal cielo, si tuffano in picchiata scambiandoli per cibo e quando li hanno nel becco è ormai troppo tardi.

 

 

Mediterraneo malato grave. Nel Mediterraneo il problema è più grave: in questo mare chiuso la plastica rimane prigioniera. Qui, in media, ci sono 115.000 pezzetti per chilometro quadrato, il che vuol dire che in tutta l’estensione marina ce ne sono 290.000.000.000 nei primi quindici centimetri d’acqua, ovvero una fascia delicata e preziosa per la riproduzione e l’alimentazione dell’ecosistema marino che i biologi chiamano «neuston».

Costa ligure-tirrenica. Si calcola che nel solo bacino nord-ovest del golfo di Genova si ritrovano in media 200.000 microframmenti per chilometro quadrato. Al largo di Portoferraio (Isola d’Elba) la concentrazione di plastica, forse per un gioco di correnti, raggiunge gli 892.000 microframmenti per chilometro quadrato. er il 90% si tratta di piccoli frammenti di plastica del peso medio di 1,8 milligrammi che galleggiano entro i primi 20 cm dalla superficie dell’acqua.

La plastica infatti, è costituita da polimeri sintetici originati dal petrolio e, con il passare del tempo, non si distrugge, ma si scompone in minuscoli frammenti che vengono chiamati micro-plastiche e sono questi frammenti che hanno portato alla formazione dell’isola di plastica presente ora nel Mediterraneo.

La maggior concentrazione, è stata riscontrata nei presso dell‘Isola d’Elba e della Costa Azzurra, ma anche in Corsica e nell’arcipelago Toscano.

Ci vogliono fino a mille anni affinché una bottiglia di plastica si scomponga completamente. I danni per i nostri mari, sono veramente inimmaginabili, incalcolabili e siamo già consapevoli, di quante specie di animali sono a rischio per questo motivo. Le tartarughe marine scambiano i piccoli frammenti di plastica per piccole meduse e si soffocano ingerendoli, come testimoniato da numerosi studi effettuati.

Ma non solo le tartarughe sono in grave pericolo, la concentrazione di plancton nei nostri mari è di 10 a uno rispetto ai frammenti di plastica e di plancton, tutti sappiamo si nutrono le balene e altre specie animali.

A cura di Olivia della Vista e Redazione Surfcorner.it

 

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