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Allarme mare: senza inverno, rischia il collasso. adriatico a rischio

Surfcorner.it – ”Abbiamo perso l’inverno e il mare ha pagato il prezzo piu’ alto. L’emergenza mare deve essere acquisita come emergenza nazionale”. Questo il commento del ministro dell’ Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, durante la presentazione di un rapporto sull’allarme clima del Mare Nostrum presentato a due giorni dalla Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici promossa dal ministero dell’Ambiente e organizzata dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Apat) che si terra’ a Roma, al Palazzo della Fao, il 12 e 13 settembre.
Secondo quanto indicato nel rapporto clima-mare, basato su elaborazioni dell’Istituto per la ricerca sul mare (Icram), già nel 2003 si e’ bloccata la corrente dell’Adriatico o corrente del Golfo di Trieste, una delle tre correnti che fa da ”motore” a tutto il Mediterraneo e che garantisce il rimescolamento delle acque dell’intero Mediterraneo. Una corrente ascensionale che trasporta i nutrienti dal fondo verso la superficie, la cui prolungata assenza comporterebbe rischi gravi per l’intera catena alimentare marina. ”Se dovesse permanere il problema del 2003 – ha detto Pecoraro – il rischio per il Mediterraneo e’ quello di fare la fine del Mar Nero, un bacino chiuso, che si sta bloccando del tutto e che a 150 metri di profondita’ e’ morto”. Lo stessa cosa, continua il rapporto, ”puo’ accadere al Mediterraneo in caso di assenza di queste correnti ascensionali”. Secondo Pecoraro occorrono ”misure piu’ forti di mitigazione di questi effetti” anche attraverso l’impiego di maggiori fondi che possono essere investiti per piani di adattamento in varie forme.
Allo stato attuale, secondo l’allarme lanciato dall’Icram, il mare più a rischio rimane l’Adriatico, che, con un aumento della temperatura di 2 gradi anche d’inverno, rischia di diventare un’enorme palude, e dove il fenomeno della mucillagine è già preoccupante soprattutto nei periodi dell’anno più caldi.
«Senza questa corrente che si muove in direzione Nord-Sud, l’Adriatico si trasformerebbe in una mare fermo e sempre più caldo — ha spiegato il direttore scientifico dell’Icram Silvestro Greco —. Dal Golfo di Trieste fino alla costa pugliese si creerebbe una palude salmastra dove lo scambio di ossigeno si fermerebbe allo strato superficiale, rendendo inabitabile l’ambiente marino. Le prime specie a scomparire sarebbero i pesci e le piante marine tipiche del Golfo di Trieste.E troveremmo nell’Adriatico sempre più mucillagine e alghe assassine.
Tra i progetti proposti per la difesa della costa e che saranno presentati domani al summit, il più originale è quello di proteggerla con le dune, imitando così la natura che aveva da sola elaborato questi sistemi di difesa costieri distrutti dall’uomo per far spazio al cemento.
Questa non è che una delle cosiddette misure di adattamento, come le chiamano gli esperti. Ciò che ci aspetta nei prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici è in realtà ben più vasto: erosione e inondazione delle coste, collasso degli ecosistemi, accentuazione del dissesto idrogeologico, perdita di specie animali e vegetali, contraccolpi sulla salute dell’uomo.

«Le coste italiane soggette al rischio di erosione sono circa 5.000 km — spiega la dottoressa Edi Valpreda, la geologa dell’Enea che esporrà il progetto dune —. Sono belle spiagge che si affacciano sul Tirreno, sull’Adriatico e sullo Ionio, con tassi di erosione aumentati dagli anni 70 e che ora arrivano a qualche metro l’anno. Oggi i rimedi adottati per proteggere queste spiagge consistono in difese fatte con grossi massi calati amare e in «ripascimenti» realizzati col trasporto, ogni anno, di nuova sabbia per sostituire quella strappata dalle onde: entrambe soluzioni costose e spesso effimere. Le dune studiate e proposte dal Gruppo nazionale per la difesa dell’ambiente costiero, un team di ricercatori di cui fa parte la Valpreda, svolgono la funzione di serbatoi di sabbia, posti a distanza di almeno 20 metri dalla battigia, ricoperti da vegetazione spontanea, che cedono lentamente alla spiaggia quel che il mare sottrae. «Svolgono, in altri termini, la stessa funzione delle dune naturali, formatesi nel corso dei tempi geologici, di cui erano ricche le spiagge italiane e che poi sono state distrutte per far posto a massicciate ferroviarie, passeggiate a mare, stabilimenti. Oggi, di quel patrimonio di cordoni dunari, sopravvivono a stento circa 700 km, molti dei quali in pessime condizioni».
«Già sono in corso alcune sperimentazioni che hanno dato ottimi risultati nel delta del Po, vicino a Goro, e nei pressi di Ravenna — informa la Valpreda.
Gli interventi, in ogni caso, devono essere circoscritti a quei circa 2.000 km di spiagge ancora libere da insediamenti umani, in quanto l’impianto di dune artificiali non è compatibile con la presenza di costruzioni».

«Dalla Conferenza dovrà uscire un piano per la sicurezza ambientale dei cittadini e per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici per il quale ho espressamente chiesto la partecipazione di tutti iministri—ha dichiarato alla vigilia del summit Pecoraro Scanio —. Il problema riguarda l’intero governo e ognuno deve fare la sua parte. Le risorse necessarie per i prossimi anni ammontano a circa un miliardo e sono già inserite in un capitolo del Dpef che prevede l’attuazione del Protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas serra e varie misure di adattamento nei settori del dissesto idrogeologico, biodiversità, parchi e precariato».

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